Prendiamo in considerazione un caso tutt’altro che raro: quello in cui a ereditare sono i fratelli del defunto. Non ci soffermeremo sull’ipotesi di una chiamata ereditaria contenuta in un testamento, ma su quella in cui, venuto meno l’ereditando, la sua successione sia regolata dalla legge.
Questo perché un conto è quando un fratello viene nominato erede in base ad una scelta operata consapevolmente da colui che intende provvedere in tal modo alla destinazione dei propri beni. Altra cosa è invece quando ci si trova a dover gestire una situazione in cui la chiamata ereditaria interviene legalmente.
La norma di riferimento
L’art. 565 cod.civ. fornisce, al riguardo, un dettagliato elenco dei successibili, cioè dei soggetti che sono chiamati all’eredità. Esso dispone che nel sistema successorio legale l’eredità si devolve al coniuge, ai discendenti, agli ascendenti, ai collaterali, agli altri parenti ed infine allo Stato.
Si tratta di una norma centrale nel sistema successorio legale che indica un elenco di categorie, al tempo stesso collocandole in un preciso ordine. Come appare evidente, non si tratta di categorie omogenee. Infatti coniuge e discendenti, a differenza dei fratelli, sono anche legittimari (vale a dire eredi necessari ai quali, se esistenti e in vita, deve essere lasciata una quota specifica dei beni ereditari). Va anche osservato che la presenza di questi soggetti vale ad escludere tutte le altre categorie, fratelli compresi.
In parole povere: se Giovanni muore e lascia la moglie Maria e il figlio Paolo, l’eredità si devolve soltanto a loro. Ciò anche se il padre e la madre di Giovanni fossero ancora viventi ed esistessero uno o più fratelli del de cuius. Anche gli ascendenti (cioè padre e madre) del defunto sono legittimari: ma possono venire alla successione del figlio solo se mancano figli, eventualmente in concorso con il coniuge e anche con i fratelli.
La successione dei fratelli
Ecco, siamo arrivati proprio a loro, i fratelli (ovviamente anche le sorelle, ma, se volessimo utilizzare un termine tecnico dovremmo dire: “collaterali di secondo grado”). Ebbene: se il defunto ha lasciato il coniuge ed uno o più figli, i fratelli non sono chiamati alla successione. L’eventualità della loro chiamata ha luogo, ovviamente, prima di tutto nell’ipotesi in cui il de cuius non fosse coniugato e non avesse neppure discendenti. Talvolta capita che, passato a miglior vita un membro non sposato di una fraterna numerosa, solo alcuni degli altri fratelli siano ancora vivi.
Cosa accade in tal caso? Ha luogo la successione per rappresentazione: per ciascun fratello premorto rispetto a quello della cui successione si tratta, vengono chiamati i figli di costui (evidentemente se costui ha discendenti). La successione ha luogo per stipiti: questo significa che se il fratello premorto aveva cinque figli, la di lui quota si divide per cinque, mentre se un altro fratello premorto ne ha avuto soltanto uno, a costui andrà tutta la porzione che sarebbe stata destinata al padre.
Il concorso tra fratelli e coniuge superstite
L’ipotesi più delicata, tuttavia, è rappresentata dal concorso tra uno o più fratelli e il coniuge superstite, in difetto di figli. Si pensi ad una vedova che si trovi a fare i conti con i fratelli del marito appena venuto meno, magari dovendo condividere le disponibilità liquide del conto corrente di famiglia e la proprietà dell’appartamento in cui abita.
Questa situazione, meno infrequente di quanto si creda, da vita ad un quadro che contrasta con il senso comune. Si sa infatti che, talvolta, i rapporti tra fratelli non sono propriamente idilliaci. Men che meno, in questo frangente, i rapporti tra i fratelli superstiti e il coniuge di quello venuto meno. Spesso l’abitazione è stata acquistata da marito e moglie con sacrifici cospicui. I risparmi di una vita che si rinvengano in banca possono definirsi come sudati. Sono infatti finalizzati a creare un benessere per la coppia, in previsione di un’età non più contrassegnata da attitudini lavorative che possano determinare l’accumulazione di ulteriore denaro. L’improvvisa irruzione del destino può sconvolgere questo ordine, determinando l’ingresso nella proprietà di questi beni di persone magari lontane o non particolarmente gradite.
Come appare evidente, ciò comporta notevoli turbamenti per il coniuge superstite, già gravato dalla condizione di vedovanza. Per fortuna il rimedio c’è ed è anche semplice: è sufficiente che i coniugi senza figli facciano testamento, destinando i propri beni a chi desiderano (specialmente all’altro coniuge). I fratelli, a differenza di coniuge, discendenti e ascendenti, non sono, come detto, legittimari. Detto in altre parole: è ben possibile che il testatore non lasci loro nulla.
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Daniele Minussi
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