Quando si parla di eredità di solito viene in mente “la roba” di verghiana memoria. Case, terreni, aziende e denaro. Tutti beni molto…“materiali”. Oggi la virtualizzazione e digitalizzazione dell’economia stanno mutando questo quadro con una velocità impensabile. Se ci possiamo immaginare il testamento di Mazzarò come un elenco di proprietà terriere, oggi quasi tutti devono farsi carico della sorte di dati digitali, apparentemente evanescenti, ma che riguardano spesso una ricchezza concreta che va tramandata oltre la propria morte.
Chi avrebbe detto, fino a qualche anno fa, che un insieme di parole apparentemente senza senso potessero dare accesso ad un vero e proprio “tesoro”? Eppure, conoscendo la stringa corrispondente alla chiave privata di criptazione che mi autorizza a disporre dei bitcoin sulla blockchain riesco ad attingere ad una risorsa economica che può essere ingente.
Cosa ne è dei miei bitcoin? Posso lasciare disposizioni che riguardano il mio wallet digitale? La diffusione delle criptovalute (bitcoin, ethereum, litecoin, solo per citare le più conosciute), da fenomeno di nicchia, è diventata virale. Magari qualcuno che ha investito poche centinaia di euro qualche anno fa, quasi per scherzo, ora si trova ad essere milionario.
Ecco perché è importante parlare di diritti ereditari sul contenuto di wallet, veri e propri “portafogli” digitali, che possono contenere una vera e propria fortuna. È importante comprendere però che senza la la “stringa” costituita dalle parole chiave che serve per trasferire le criptovalute sulla blockchain, i relativi diritti non possono essere esercitati. Diventa fondamentale fare testamento non solo per individuare il beneficiario, ma anche per indicare i codici di accesso.
Ma non è finita qui. Se il possesso di bitcoin non è un fenomeno (ancora) diffusissimo, lo è, invece, quello della titolarità di innumerevoli codici alfanumerici che costituiscono password o numeri identificativi indispensabili per accedere a dati personali, a conti correnti, a proprietà intellettuali.
Dunque l’eredità digitale riguarda ognuno di noi. Le nuove tecnologie, il diffondersi dei social network, la proliferazione degli accounts, delle passwords, dei dati personali presenti nelle banche dati pongono una serie di interrogativi assolutamente nuovi e dai contorni legali che non è semplice mettere a fuoco.
A questo riguardo una prima domanda è se i dati introdotti nei social networks, nelle banche dati, più in generale veicolati dal web, appartengano o meno a chi non c’è più. Se si possano rivendicare o in altro modo proteggere. La risposta dipende dalle regole proprie del “contenitore” nel quale si trovano questi dati. Si pensi ai social networks: le condizioni generali di contratto alle quali ciascun utente si sottopone per poterli utilizzare possono prevedere che i dati, una volta introdotti, diventino di proprietà della casa madre.
Un tema importante è quello dei commenti, degli apprezzamenti, delle parole che possono offendere o anche soltanto dare fastidio a chi sta a cuore il rispetto dell’identità del proprio caro che non c’è più. Non sempre è possibile intervenire, perché il diritto di critica, di cronaca e, più in generale, di libertà di espressione sono principi costituzionalmente garantiti.
Tornando invece alle credenziali di accesso agli accounts di posta elettronica, a sistemi informativi di servizi bancari, di spedizione o postali, finanziari, ai dati personali sensibili o di quelli medici contenuti nelle cartelle online, ci si può domandare come superare i problemi legati alla scomparsa del titolare che li conosceva e ne faceva uso. Ci siamo mai rappresentati cosa possa voler dire per i nostri cari magari improvvisamente non essere più in grado di accedere a questi dati? É certamente consigliabile non solo mettere al sicuro questi dati, ma anche designare una persona che possa farne uso.
La conclusione è che oggi sia adeguato parlare di “eredità digitale” per evocare il complesso dei contenuti informativi di cui stiamo parlando. È molto importante fare testamento per salvaguardarla, molto più importante che per “la roba” tradizionalmente consistente in beni materiali. Infatti per questi ultimi, che sono ben percepibili nella esteriorità, caso mai è la legge a pensarci se non si lasciano disposizioni di ultima volontà. Ma se possiedo 10 bitcoin e nessuno sa che ci sono e che sono miei o, peggio, lo si sa, ma non c’è modo di procurarsi la stringa della chiave privata, sono veri dolori e l’eredità digitale si… volatilizza.
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Daniele Minussi – contattami per una consulenza
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