Eredità giacente

da | Gen 18, 2018

L’istituto dell’eredità giacente è finalizzato a evitare che il patrimonio ereditario subisca pregiudizi o dispersioni nel periodo che intercorre dall’apertura della successione all’accettazione dell’eredità, con evidente danno dei soggetti che hanno interesse alla conservazione di quei beni (chiamati ulteriori, creditori ereditari, legatari etc.). Questo scopo solitamente viene realizzato attraverso i poteri concessi al chiamato all’eredità, […]

L’istituto dell’eredità giacente è finalizzato a evitare che il patrimonio ereditario subisca pregiudizi o dispersioni nel periodo che intercorre dall’apertura della successione all’accettazione dell’eredità, con evidente danno dei soggetti che hanno interesse alla conservazione di quei beni (chiamati ulteriori, creditori ereditari, legatari etc.).

disposizioni testamentarie

Questo scopo solitamente viene realizzato attraverso i poteri concessi al chiamato all’eredità, ai sensi dell’art. 460 c.c., ma costui, non avendo l’obbligo di amministrare, può anche disinteressarsi dei beni, ecco che, ai sensi del 1° comma dell’art. 528 c.c., il Tribunale del circondario dove si è aperta la successione, su istanza delle persone interessate o anche d’ufficio, nomina all’eredità un curatore.

Ci sono diverse ipotesi di eredità giacente?

Molti studiosi ritengono che l’eredità sia giacente in tutti i casi in cui il chiamato non abbia ancora accettato l’eredità; l’art. 528 c.c., quindi, avrebbe disciplinato soltanto un’ipotesi. Aderendo a questo orientamento, nella nozione di eredità giacente rientrerebbero anche i seguenti casi: chiamato prima dell’accettazione (art. 460 c.c.), istituzione di erede sotto condizione sospensiva (art. 644 c.c.) e istituzione di nascituri (art. 643 c.c.).
Questa assimilazione sarebbe confermata almeno per due di queste ipotesi dall’art. 644 c.c., il quale applica agli amministratori dei beni lasciati sotto condizione sospensiva o attribuiti a nascituri le regole che si riferiscono ai curatori dell’eredità giacente. Altri studiosi e la Giurisprudenza sostengono, invece, che l’unica ipotesi di eredità giacente sia quella prevista dall’art. 528 c.c., in quanto nelle fattispecie sopra elencate, gli amministratori dei beni non possono essere qualificati come curatori dell’eredità giacente: in primo luogo perché la loro investitura deriva dalla legge e non dall’autorità Giudiziaria e, in secondo luogo, perché loro amministrano il patrimonio nel loro interesse e non nell’interesse altrui, come fa invece il curatore dell’eredità giacente. Sul piano del diritto positivo, poi, si osserva che, mentre il curatore dell’eredità giacente, in quanto titolare di un ufficio, sia pure di diritto privato, cessa dalle funzioni solo nel momento in cui l’eredità viene accettata, gli amministratori dei beni lasciati sotto condizione sospensiva o destinati ai nascituri possono essere esclusi dall’amministrazione anche prima che l’eredità sia accettata.

Quali sono i presupposti dell’eredità giacente?

Perché si abbia eredità giacente, nella nozione ristretta prevista dall’art. 528 c.c., sono necessari tre presupposti:

  1. mancata accettazione dell’eredità;
  2. mancato possesso dei beni ereditari da parte del chiamato;
  3. nomina del curatore.

Il primo presupposto, dunque, è che vi sia un chiamato all’eredità attuale, che abbia il diritto di accettare l’eredità e non l’abbia ancora esercitato. Esso deve sussistere per tutto il tempo in cui il curatore esercita le sue funzioni (art. 532 c.c.).
Il secondo presupposto è che il chiamato all’eredità non si trovi nel possesso dei beni ereditari. Al riguardo, va osservato come, per escludere l’eredità giacente, sia sufficiente la mera detenzione a qualsiasi titolo, dei beni ereditari da parte del chiamato. Il possesso deve intendersi in senso strettamente materiale (cioè una relazione di fatto tra il chiamato e i beni ereditari).
Ultimo presupposto, infine, è la nomina del curatore dell’eredità giacente, la quale ha  efficacia costitutiva della giacenza e avviene da parte del Tribunale d’ufficio ovvero (nella maggior parte dei casi) nominato su richiesta degli interessati: il chiamato non in possesso dei beni ereditari, i chiamati in subordine, i creditori dell’eredità, i creditori del chiamato e i legatari.

La figura del curatore e le sue attività

Il curatore risulta essere il perno di tutto l’istituto dell’eredità giacente e la sua attività si sostanzia in quattro principali funzioni:
a) Attività preliminare: le attività preliminari consistono nell’obbligo di prestare il giuramento ai sensi dell’art. 193 disp. att. c.p.c., redigere l’inventario e compiere gli atti urgenti.
b) Legittimazione processuale: la capacità pertanto può rappresentare l’eredità sia come attore che come convenuto.
c) Amministrazione dei beni ereditari e successivo rendiconto: l’amministrazione è svolta sotto la vigilanza del Tribunale e riguarda sia gli atti di ordinaria che di straordinaria amministrazione, precisando che per quest’ultimi è necessaria l’autorizzazione ai sensi degli artt. 782 – 783 c.p.c. Il curatore è chiamato inoltre a depositare le somme presso le casse postali o presso un istituto di credito designato dal Tribunale; infine deve rendere conto della propria amministrazione.
d) Liquidazione delle passività: anche la funzione liquidativa, così come il pagamento dei debiti ereditari, richiede la preventiva autorizzazione del tribunale. Si precisa però che se qualcuno tra creditori o legatari fa opposizione, il curatore non può procedere ad alcun pagamento, ma deve provvedere alla liquidazione dell’eredità secondo le regola stabilite per la liquidazione dell’eredità accettata con beneficio di inventario.

Quali sono i limiti della sua attività?

Il curatore potrà compiere ogni attività dispositiva purché rientrante nella sua funzione (che come visto in precedenza è quella conservatrice del patrimonio ereditario e liquidativa delle passività): potrà provvedere a realizzare tutti gli atti necessari a patto che abbiano natura conservativa e quindi potrà procedere anche a vendite immobiliari o contrarre mutui purché sia necessario alla conservazione dell’eredità e ciò solo nei casi di necessità o utilità evidente, come previsto dall’art. 783, 2° comma, c.c. (ovviamente, per tali atti, è richiesta l’autorizzazione del Tribunale).
Il curatore, infine, può anche essere autorizzato a compiere attività di impresa, al fine di evitare il danno che potrebbe derivare dalla sua liquidazione: nel concetto di attività conservativa, quindi, non rientra solo un mera custodia o tutela giuridica passiva dei beni, ma si ammette anche una conservazione attiva.

Quali sono gli effetti della giacenza?

La giacenza dell’eredità:

  • in positivo, consiste nell’attività compiuta dal curatore per la tutela dei beni ereditari;
  • in negativo, consiste;
    — nel divieto per il chiamato di compiere atti conservativi: una volta nominato il curatore dell’eredità giacente, il chiamato all’eredità decade dai tipici poteri a lui attribuiti dall’articolo 460 c.c., pertanto a lui rimane il potere di accettare o rinunziare l’eredità ma non quello di dare luogo ad azioni possessorie, vigilare, conservare o compiere atti di amministrazione in genere. Tutti questi poteri spettano al curatore dell’eredità giacente. Qualora il chiamato compia atti dispositivi, essi sono validi ma comporteranno accettazione tacita di eredità.
    — nel divieto di iscrivere ipoteche giudiziali, ai sensi dell’art. 2830 c.c., sui beni ereditari facenti parte di un’eredità giacente, neppure in base a sentenze pronunciate anteriormente alla morte del debitore. Lo scopo del divieto è quello di salvaguardare la parità di condizioni tre creditori ereditari, nel caso che i beni dell’eredità non siano sufficienti a soddisfarli tutti. Le ipoteche giudiziali iscritte nonostante il divieto, secondo la teoria preferibile sono inopponibili ai creditori che concorrono sui beni dell’eredità giacente; cessata la giacenza, l’ipoteca giudiziale acquisterà la sua naturale efficacia.
    — nel divieto di azioni individuali e, in particolare, vige il divieto di promuovere nuove procedure esecutive sui beni dell’eredità giacente a istanza dei creditori. Tale divieto si applica solo quando il curatore procede alla liquidazione dell’eredità nell’interesse di tutti i creditori. Ciò significa che il curatore, dopo aver venduto i beni, procede con la liquidazione delle passività e paga i debiti di questi nei confronti dell’eredità (ovviamente il tutto sotto la supervisione e le preventive autorizzazioni del tribunale). Quindi, chi vanta crediti nei confronti del de cuius non deve agire chiedendo il pignoramento dei beni per veder soddisfatti i propri interessi poiché, grazie all’istituto della giacenza dell’eredità, vedrà soddisfatto il proprio credito.

Eredità giacente ed eredità vacante sono la stessa cosa?

L’eredità giacente non deve essere confusa con l’eredità vacante. Quest’ultima si prevede quando è stato verificato che nessun soggetto può succedere al defunto e, pertanto, l’eredità spetta allo Stato (art. 586 c.c.). In altre parole l’eredità vacante presuppone che non vi siano più chiamati, non solamente testamentari, ma neppure legittimi, cosicché è legittimo parlare di “eredità vacante” in senso analogo a quanto dispone l’art. 827 c.c., secondo cui i beni immobili che non sono in proprietà di alcuno, spettano al patrimonio dello stato.

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