La divisione è il procedimento con cui gli eredi, una volta venuta meno una persona, procedono a ripartire tra loro i beni che cadono in successione. L’articolo 734 del codice civile stabilisce che il testatore ha la facoltà di suddividere i propri beni tra gli eredi. Tale suddivisione può includere la parte non disponibile, ovvero la porzione destinata ai legittimari.
Nel testamento possono essere previste assegnazioni dei beni appartenenti all’asse, evitando che si formi la comunione incidentale ereditaria. Si parla, in questo caso, di “divisione del testatore”. Essa non è una vera e propria divisione, proprio perché, come detto, la disposizione testamentaria impedisce che i beni cadano in comunione tra gli eredi. Fin dal momento dell’apertura della successione, pertanto, i singoli chiamati all’eredità sono destinatari dei vari lasciti individualmente, non dovendo “venire a patti” gli uni con gli altri allo scopo di ottenere in via esclusiva i singoli cespiti ricadenti nell’asse.
Quando i beni oggetto delle disposizioni del testamento diventano di proprietà degli eredi?
L’acquisto dei diritti “assegnati” dal testatore ha luogo mediante l’accettazione dell’eredità da parte di ciascun beneficiato. Le disposizioni testamentarie per tale via non soltanto producono l’effetto attributivo collegato alla morte del disponente, ma possiedono anche una portata distributiva molto importante.
Non potranno più capitare litigi tra i coeredi, spesso coinvolti in aspre discussioni per vedersi assegnare un bene specifico facente parte della massa da dividere. Va specificato come talvolta non si tratti neppure di un litigio riguardante il valore del cespite, ma proprio del fatto che quell’appartamento o quel gioiello sia desiderato da più di uno dei condividenti. Le motivazioni economiche si sommano così a quelle affettive, in un groviglio talvolta inestricabile.
Proprio per questa ragione le disposizioni il testatore può prevenire eventuali conflitti tra gli eredi stabilendo chiaramente che gli assegni ereditari devono essere considerati individuali e specifici. Questa decisione può essere fondamentale per garantire un accordo pacifico tra di loro.
Certamente si tratta di una notevole assunzione di responsabilità per chi si accinge a dettare le proprie ultime volontà. Non è facile che un padre o una madre, che conoscono i desideri dei figli, assumano su di sé l’onere di provvedere, accettando il rischio di pensieri malevoli (anche se postumi) da parte di colui al quale magari non sia stato assegnato ciò che in cuor suo desiderava.
L’esperienza, tuttavia, insegna che la speranza dei genitori che i figli si intendano tra loro (qualcuno dice: “che si arrangino”) difficilmente è ben riposta. Questo si traduce spesso in una presa di posizione “pilatesca” destinata a sfociare in dissapori e, purtroppo, anche in liti giudiziarie successive al venir meno dei genitori. In sintesi, se mamma e papà vogliono che i figli vadano d’accordo, ci devono pensare loro e non sperare in un futuro pacifico.
Va in ogni caso fatto un avviso: occorre che il testatore rispetti i diritti di legittima spettanti a ciascuno degli eredi. Così se ci sono due figli e il valore dell’asse ereditario è pari a 100, i genitori non possono non lasciare almeno 25 a ciascun figlio. Altrimenti si verificherebbe una lesione del diritto di colui al quale fossero assegnati beni di valore inferiore alla porzione legittima. Si ricorda che, nel caso di due figli e un coniuge, questa porzione è pari a un quarto dell’intero asse, mentre il testatore resta libero di disporre del residuo quarto.
Conviene ricordare che devono computarsi nella quota di legittima anche le eventuali donazioni che fossero state effettuate in vita da colui che sta disponendo per testamento. Qualora, ad esempio, papà Paolo avesse donato al figlio Primo un appartamento a Milano del valore di 25, in fatto avendo già esaurito il valore della quota di legittima spettante a lui, poi nel testamento di ciò dovrebbe tenere adeguata considerazione. Conseguentemente occorrerà attribuire prima di tutto al figlio Secondo un lascito di pari valore allo scopo di perequarne le sorti rispetto a quelle del fratello Primo.
La normativa
Quanto detto spiega il modo di disporre dell’art. 735 del codice civile. Secondo la norma infatti, non soltanto il coerede che è stato leso nella quota di legittima può esercitare l’azione di riduzione contro gli altri coeredi, ma addirittura la divisione nella quale il testatore non ha contemplato qualcuno dei legittimari o degli eredi istituiti è nulla.
La fattispecie di cui fino ad ora abbiamo fatto cenno corrisponde ad un intervento specifico del testatore, il quale formi, come detto, direttamente le porzioni, distribuendo tra i propri eredi i beni in maniera tale da impedire che tra loro si formi una situazione di comunione.
È però possibile che il testatore preveda più semplicemente regole vincolanti per gli eredi allo scopo di disciplinare la futura divisione dei cespiti ereditari. Si tratta del cosiddetto “assegno divisionale semplice” previsto dall’art. 733 del codice civile, ai sensi del quale “quando il testatore ha stabilito particolari norme per formare le porzioni, queste norme sono vincolanti per gli eredi, salvo che l’effettivo valore dei beni non corrisponda alle quote stabilite dal testatore”.
Questa ipotesi si differenzia dalla divisione effettuata dal testatore in senso proprio (la quale ha effetti reali immediati), consistendo nella mera predisposizione di principi che poi i coeredi dovranno rispettare nel dar corso alle operazioni divisionali che rinverranno comunque la matrice nella volontà dei condividenti. Il testatore può anche disporre che la divisione si effettui secondo la stima di persona da lui designata che non sia però erede o legatario.
La divisione proposta da questa persona non vincola gli eredi, se l’autorità giudiziaria, su istanza di taluno di essi, la riconosce contraria alla volontà del testatore o manifestamente iniqua. Come appare chiaro anche da questi brevi cenni, si tratta di una materia irta di difficoltà: per procedere con passo sicuro è indispensabile rivolgersi a chi la materia la conosce davvero.
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